È il dicembre 2014 quando ad André Van der Merwe ed alla sua equipe di Cape Town riesce un’impresa chirurgica mai realizzata precedentemente: il primo trapianto di pene della storia della medicina. Quasi 50 anni dopo Christiaan Barnard ed il suo trapianto di cuore (era il dicembre 1967), la città sudafricana torna a guadagnarsi le prime pagine dei quotidiani mondiali grazie ai pionieristici risultati della sua scuola chirurgica.
Il paziente, il cui nome è protetto dall’anonimato, è un giovane sudafricano sottoposto alcuni anni prima ad un’amputazione peniena a causa di una necrosi post-circoncisione. In alcune etnie del paese arcobaleno è tradizione la circoncisione rituale, effettuata da personale non sanitario e nell’ambito di una celebrazione che coinvolge tutta la comunità, come segno di passaggio dall’età adolescenziale alla piena maturazione come uomo. Purtroppo, a causa delle talora scarse condizioni igieniche in cui viene effettuata, ogni anno circa 200 ragazzi sviluppano infezioni e necrosi tali da richiedere un’amputazione totale o parziale dell’organo genitale.
Come spiegato più volte dal prof. Van der Merwe, la vita di un giovane ragazzo evirato è quasi una “non-vita”. La quasi totalità di questi ragazzi è affetta da grave depressione e patologie dell’umore, talvolta vengono posti ai margini della società, ed il tasso di suicidi è incredibilmente elevato. Questo problema sociale è stato uno dei motori che ha spinto l’equipe a sperimentare per anni, e poi mettere in pratica, quella che è stata una delle operazioni più rivoluzionarie degli ultimi decenni, tanto da meritarsi una pubblicazione su Lancet dell’agosto 2017.
Per alcuni anni, un’equipe multidisciplinare composta da urologi, chirurghi plastici, nefrologi, eticisti, psicologi e personale organizzativo di supporto, ha pianificato in ogni dettaglio gli step dell’intervento chirurgico sia di prelievo che di trapianto dell’organo, oltre a quelli circa il management della conseguente terapia immunosoppressiva e di preparazione e supporto al paziente.
La prima occasione è arrivata appunto nel dicembre 2014, con un intervento perfettamente riuscito, una ripresa funzionale dell’organo ed un radicale “ritorno alla vita” del paziente che, a due anni dall’intervento era addirittura diventato padre. A due anni e mezzo di distanza il secondo intervento effettuato, cui ho avuto l’onore di poter partecipare come membro dell’equipe, e di seguirne il follow-up per i successivi mesi, caratterizzato dalla discrepanza cromatica tra organo donato (di colore bianco) e paziente ricevente (di colore nero). Questa peculiarità è nata semplicemente dalla scelta del paziente, in lista d’attesa per l’intervento da circa due anni, di non rinunciare all’unico organo compatibile disponibile, nonostante la differenza di colore.
Difatti, uno degli attuali problemi organizzativi del trapianto di pene è la scarsità di donatori. Poche sono le famiglie che acconsentono al prelievo di tale organo dal cadavere di un proprio caro, anche quando acconsentono al prelievo di altri organi (reni, cuore, fegato, etc.).
Tra i due trapianti sudafricani, vi è stata anche l’esperienza del primo trapianto americano, effettuato dal Prof. Cetrulo a favore di un paziente precedentemente sottoposto ad amputazione a causa di un tumore penieno. Inoltre, un precedente tentativo solo parzialmente riuscito, era stato effettuato nel 2006 in Cina.
L’esperienza sudafricana ha dato il via ad una nuova opzione chirurgica, tecnicamente fattibile ed in grado di portare ad una soddisfacente ripresa delle funzioni sessuale ed urinaria. Resta l’incognita della terapia immunosoppressiva, intrapresa per lungo tempo in pazienti che sono generalmente di giovane età.
È presto per capire se tale intervento possa soppiantare altre tecniche di falloplastica e chirurgia ricostruttiva, ma siamo certi che i casi effettuati non saranno gli ultimi.